Luigi Latino

Luigi LatinoUt pictura poesis: per Luigi Latino

Che cosa accade quando un pittore depone il pennello, almeno temporaneamente, e prende in mano la penna? O meglio: che cosa accade in chi è abituato a vedere le opere pittoriche di un artista, quando ad esse si affiancano, fino quasi a sostituirsi, alcune scritture vergate dalla stessa mano, che non possono essere lette se non sinotticamente, come traduzione a fronte di una già sperimentata arte visiva? Il pittore diventa poeta, il fruitore d’arte lettore. Si rischierebbe un effetto straniante, se non si avvertisse subito che una medesima tensione anima pittura e poesia. Così accade per i quadri e le scritture di Luigi Latino.
Nell’informale della visione pittorica di Latino negli ultimi tempi sono apparsi sagome e lineamenti di volti umani come relitti di una realtà naufragata, di un umanesimo tragicamente tramontato. Sono i segni di una concezione anarchica della vita, elaborata in anni che oggi appaiono lontani e tremendi. Parlo degli anni Settanta, gli anni di una giovinezza allevata nella violenza (chi aveva allora vent’anni non lo dimentica), incapace, dunque, di progettare un futuro migliore. In ciascuno permaneva il desiderio di vivere libero nella propria sconsolata soggettività, in un’infelice solitudine. Oggi, col senno di poi, possiamo dire che un orizzonte comunitario era presente, ma come uno sfondo falso e convenzionale fatto di specchi translucidi, che riflettevano l’immagine deturpata di una generazione, dividendola da un abisso assai prossimo. Forse questo fu l’errore, comune a un’intera generazione: quello di non essere in grado (di non avere la forza) di portare la critica allo status quo fino ai suoi estremi, di rompere quel fondale e riconoscere nella propria condizione individuale non il manifestarsi narcisistico del desiderio, ma un destino comune da realizzare nell’utopia di un mondo tutto da costruire. L’immaginazione non solo non prese il potere, ma si infiacchì presto e non diede più che stanchi segnali di vita. Di narcisismo, infatti, si muore e molti della generazione di Latino (classe 1954) morirono allora, senza mai diventare adulti, altri divennero adulti e intristirono rendendo triste il mondo nel quale oggi viviamo. Non riesco a leggere l’opera di Luigi Latino se non a partire da queste premesse, che a mio avviso costituiscono il retroterra culturale generazionale della sua visione del mondo.
Latino probabilmente riuscì a sottrarsi alla realtà che gli era stata ammannita su un piatto d’argento, creando un altro mondo dentro il quale non so bene se abbia trovato un rifugio oppure una via di fuga; sta di fatto che egli ha continuato instancabilmente a lavorare, a dipingere, oggi a poetare. Portare la libertà del pensiero anarchico, bandita dal sistema capitalistico avanzato, nei colori, nella materia, nelle linee prive di un disegno preconfezionato dell’opera: questo lo scopo che Latino si è dato, questa la strada seguita. Non so se la comparsa della figura umana appena abbozzata (ma era mai del tutto sparita?) nella pittura di Latino sia il segno di un cedimento o di ripensamento. Per saperlo dovremmo rispondere alla domanda: quale uomo dipinge Latino? E’ l’uomo massificato, sorvegliato, giudicato, incarcerato, violentato, assassinato, l’uomo che subisce la guerra, l’uomo che sconta l’edonismo della vita quotidiana con l’inferno della sua esistenza profonda. Sagome e volti si scontornano appena entro i segni materici dei colori stesi sul supporto pittorico. L’Umanità si fa materia e si confonde con essa, fino a seguirne il medesimo destino di corruzione e morte.
La poesia rifà il verso alla pittura, esprimendone con parole le ragioni. Era necessaria questa spiegazione o non è essa il segno di una ricerca che non si rassegna a “mostrare”, ma vuol anche “dire”? “Comunicare”, scrive Latino, ecco che cosa è necessario. Sostituire, io intendo, al mondo della comunicazione globale, una comunicazione più umana, scavalcando quanto i media suggeriscono, cercando di persuadere i più riottosi (riconosco Latino come appartenente con convinzione a questa razza). Anche nella poesia il pensiero anarchico ha modo di esprimersi con rivendicazioni e ribellioni e severe denunce (la violenza della guerra, le menzogne del potere, la disoccupazione, le dure condizioni di lavoro e le morti bianche, il problema dei rifiuti, ecc.) che fanno di questa poesia una poesia civile, ovvero inevitabilmente di intervento nella prassi della politica, per quanto è dato alla poesia intervenire… Essa indulge talvolta alla ricerca di rime facili, cui forse si assegna il compito di addolcire il difficile e aspro messaggio: viviamo in un mondo orribile e siamo responsabili di tutto l’orrore che è intorno a noi, da noi stessi prodotto, il che pone la nostra vita in uno stato violento, quasi sadomasochistico, e rischia di irretire anche la più autentica volontà artistica.
Questo è l’orizzonte speculativo della poesia e della pittura di Luigi Latino: ut pictura poesis, direbbero i nostri antichi, stante la corrispondenza delle motivazioni, dei fini e dei risultati. Ed è il segno della coerenza di una complessa ed inesausta ricerca che dura ormai da più di trent’anni.

[Gianluca Virgilio – da Equilibriarte]

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